La prevenzione medica al tempo dell’AI
L’intelligenza artificiale nello screening del cancro e al seno promette diagnosi più rapide e accurate, ma ci sfida a ripensare il significato della cura tra efficienza algoritmica e umanità clinica.
✍️ Editoriale
C’è una discrepanza crescente tra la velocità della ricerca e le difficoltà della pratica. Mentre i laboratori e le conferenze internazionali celebrano i traguardi dell’intelligenza artificiale in medicina – con algoritmi che diagnosticano, predicono, suggeriscono terapie – l’applicazione quotidiana di queste scoperte resta spesso frammentaria, timida, frenata da ostacoli culturali, etici e strutturali. È come se la medicina, nel suo volto clinico, camminasse a una velocità diversa rispetto alla sua ombra tecnologica.
Un tempo, il gesto di scorrere una radiografia alla luce era quasi rituale. Un radiologo, chino sul proprio tavolo, cercava segni minimi, ambigui, su cui esercitare giudizio e intuizione. Oggi, l’atto si fa silenzioso e invisibile: una macchina legge, confronta, predice. E ci riesce meglio deel’uomo.
Tra le prime frontiere in medicina in cui il machine learning ha mostrato la sua potenza predittiva, la diagnosi precoce del cancro al seno è forse la più simbolica.
Negli ultimi anni, la letteratura scientifica si è riempita di casi eclatanti. Uno studio pubblicato su Nature nel 2020 mostrava come un sistema sviluppato da Google Health fosse in grado di diagnosticare il cancro al seno con maggiore accuratezza di radiologi esperti, riducendo sia i falsi positivi che i falsi negativi.
Gli studi indicavano come algoritmi addestrati su milioni di mammografie fossero in grado di individuare segnali minimi di malattia con anni di anticipo rispetto agli occhi umani. Non era solo una rivoluzione tecnologica. Era una domanda scomoda: cosa resta del sapere clinico, quando l’accuratezza statistica lo supera?
Il Regno Unito ha da poco annunciato il più ampio studio mai condotto per integrare l’intelligenza artificiale nello screening mammografico: 700.000 donne, 30 centri NHS, un investimento di 11 milioni di sterline. L’obiettivo? Capire se l’IA possa affiancare – o forse sostituire – uno dei due radiologi attualmente coinvolti nell’analisi delle immagini. Un gesto di efficienza, certo. Ma anche un cambio di paradigma.
Non ovunque, però, si procede con lo stesso passo. Alla Mayo Clinic, negli USA, per esempio, l’approccio è più prudente: l’IA viene impiegata per supportare i radiologi, non per rimpiazzarli. Genera bozze di referti, accelera i tempi, ma resta sotto stretta supervisione umana. È un modello che non rinuncia alla tecnologia, ma nemmeno all’ascolto.
Il mondo della radiologia sarà forse il primo ad essere impattato, ma presto questo impatto sulla medicina applicata sarà trasversale in tutti i settori. Nel suo saggio La medicina della persona, Paul Tournier scriveva che «curare non è solo guarire, ma comprendere l’essere umano nella sua interezza». Oggi, quell’interezza si confronta con l’algoritmo: preciso, affidabile, ma privo di dubbio, di empatia, di quel margine d’errore che è anche margine di umanità.
Nel campo della dermatologia, applicazioni come SkinVision e DermaCompare utilizzano reti neurali per valutare il rischio di lesioni cutanee sospette, democratizzando l’accesso a una prima valutazione clinica.
Negli Stati Uniti Wolters Kluwer ha sviluppato una piattaforma pensata per supportare i medici di base nella diagnosi e nella gestione clinica. Questo strumento offre una lista di possibili diagnosi, ciascuna accompagnata da una percentuale di probabilità, e suggerisce gli esami diagnostici più appropriati per confermare o escludere determinate condizioni. L’obiettivo non è sostituire il giudizio clinico, ma potenziarlo, fornendo un supporto tempestivo e basato su evidenze.
La Cina ha appena acceso il primo ospedale gestito da agenti d’intelligenza artificiale: 42 “medici” digitali, addestrati in 21 reparti diversi su dati sintetici che riproducono scenari clinici reali, sono già in grado di diagnosticare oltre 300 patologie e stanno testando funzioni per la pianificazione delle terapie e il dialogo con i pazienti. L’obiettivo è affiancare, e gradualmente co-erogare, i servizi sanitari su larga scala, offrendo rapidità e convenienza per colmare la carenza di personale e le disuguaglianze di accesso alle cure. Si tratta del primo vero deployment istituzionale di agenti IA in ambito clinico: un sistema a circuito chiuso che fonde assistenza, formazione e ricerca, dimostrando come le architetture agent-based possano superare i tradizionali modelli SaaS in contesti complessi.
D’altro canto, una ricerca MedicAid dimostra che negli USA circa il 5-20% del divario di mortalità tra gli americani con reddito alto e basso è dovuto alla mancanza di assicurazione sanitaria ed esempi come quello dell’ospedale cinese gestito degli agenti AI può sicuramente contribuire ad abbattere i costi e permettere a molte più persone l’accesso alle cure.
La questione non è se le macchine sapranno fare meglio, ma come noi sapremo convivere con un’intelligenza che vede più di noi, e tuttavia “non sente il paziente”. La responsabilità non sta solo nei laboratori o nei reparti ospedalieri. Sta anche nel nostro modo di pensare la cura, la prevenzione, il tempo speso ad ascoltare un paziente, a spiegargli una diagnosi, a condividere una paura.
Tuttavia, questo progresso vertiginoso nella ricerca si confronta con una medicina applicata ancora profondamente umana, fatta di contatto, di ritmi diversi. Se da un lato gli algoritmi imparano a “vedere” meglio di noi, dall’altro le corsie degli ospedali ci ricordano ogni giorno quanto il vedere non basti, quanto il sapere debba ancora passare attraverso l’ascolto e la relazione.
In un’epoca in cui affidiamo all’IA anche la nostra salute, il rischio non è tanto quello di essere sostituiti, ma quello di smettere di vedere l’altro come un corpo da comprendere, e iniziare a trattarlo come un dato da analizzare. La tecnologia può diventare alleata, ma solo se noi restiamo interlocutori. E non spettatori.
🧬 Medicina
Organi su richiesta: Vital3D giura che in dieci anni stamperemo reni e cuori
La startup lituana Vital3D, fresca di un patch cutaneo biostampato per cani, sostiene di poter portare in sala trapianti i primi organi “laser-forgiati in 3D” entro una decade: il loro sistema deposita cellule vive in pattern 3D così precisi da imitare vasi, tessuti e microfluidica naturale. Il CEO Vidmantas Šakalys, segnato dalla perdita di un mentore per un tumore renale, punta a ricreare proprio i reni — ma prima serviranno prodotti commerciali che finanzino la lunga maratona clinica, iniziando con ferite croniche nei diabetici e, a cascata, ustioni e lesioni dei soldati.
Se il piano reggerà, la biostampa potrebbe scardinare il mercato dei trapianti -90.000 americani aspettano un rene, solo 25.000 lo ricevono ogni anno- e ridisegnare la filiera farmaceutica, spostando la frontiera dal “donatore compatibile” all’“organo on-demand”. La strada resta irta: iter regolatori, costi dei bio-inchiostri, rete vascolare da mantenere viva, oltre a dilemmi etici su proprietà e accesso a un’agenda trapianti algorithm-driven. Eppure l’orizzonte è chiaro: se riusciamo a fabbricare tessuti funzionanti in laboratorio, le liste d’attesa potrebbero diventare una reliquia del passato, trasformando il concetto stesso di disponibilità d’organo.
📰 Editoria
Alexa in redazione: Amazon si compra il New York Times?
Il giornale più prestigioso deli USA -e forse del mondo- ha appena varcato un Rubicone che nessuno immaginava nel 2023: un accordo pluriennale con Amazon che concede l’uso di articoli, ricette di NYT Cooking e contenuti sportivi da The Athletic per addestrare i modelli proprietari e far parlare Alexa con la voce della “Grey Lady”. Niente Wirecutter (c’è già un’intesa commerciale diretta), ma abbastanza materiale da saziare qualunque LLM affamato di testi di qualità. Dettagli finanziari riservati, ma a Wall Street è bastato: il titolo NYT è volato di oltre il 3 %.
È la prima licenza IA firmata dal NYT dopo la causa per violazione massiva del copyright contro OpenAI e Microsoft: la testata dimostra che si può difendere la proprietà intellettuale incassando, purché l’interlocutore sia disposto a pagare. Amazon, in piena rincorsa tecnologica, ottiene “carburante premium” per i suoi modelli — e un partner che continuerà a trascinare in tribunale gli avversari.
L’intesa esclude audio e video, segno che la guerra per i dataset multimediali è appena cominciata e che il Times intende alzare il prezzo sui formati a più alto margine.
Qual è l’effetto collaterale? altre redazioni cercheranno accordi simili, mentre i tribunali dovranno stabilire se l’uso “fair” dei testi include i modelli free-rider e se i licenziamenti “per fare spazio all’IA” saranno davvero compensati dai nuovi flussi di cassa.
Resta il paradosso che i giornali nutrono l’IA, ma l’IA rischia di rendere superflui i giornali. Come Spotify con la musica, Alexa diventa il “primo schermo” tra lettore e notizia; oggi il Times incassa, domani potrebbe ritrovarsi dipendente dall’algoritmo che ha foraggiato. La stampa sta monetizzando il proprio ossigeno, vendendolo alle stesse macchine che potrebbero soffocarla.
🏛️ Pubblica amministrazione
UK: l’AI in segreteria fa risparmiare 26 minuti al giorno e libera 30.000 impiegati pubblici
Un test di tre mesi su 20.000 funzionari britannici sparsi tra ministeri e agenzie ha mostrato che l’uso di Microsoft 365 Copilot per redigere documenti, riassumere e-mail e aggiornare registri fa guadagnare in media 26 minuti di lavoro al giorno, l’equivalente di quasi due settimane l’anno per persona. Scalato all’intero apparato, significa recuperare il carico di 1.130 posti full-time e potenzialmente “liberare” 30.000 addetti da compiti di pura routine.
La prova sul campo sostiene il piano del governo Starmer di risparmiare 45 miliardi di sterline modernizzando la macchina statale: secondo l’Istituto Alan Turing, l’IA potrebbe assistere fino al 41 % delle attività pubbliche, mentre i calcoli di DSIT indicano che il 62 % del lavoro dei profili più junior è già oggi automatizzabile.
Dietro gli slogan sull’efficienza, però, affiorano le questioni più spinose: un lavoratore su cinque non ha notato benefici; esperti di governance ricordano i rischi di bias e gli abbagli di progetti precedenti — dal predictive policing “tossico” al caso olandese dei sussidi — e avvertono che la fiducia dei cittadini può crollare se l’algoritmo diventa un delegato opaco e incontestabile.
Tagliare burocrazia con l’IA libera risorse umane verso mansioni a maggior valore, ma apre un capitolo su trasparenza, controllo democratico e possibili esuberi.
📺 Pubblicità & Media
Il digitale europeo supera i 100 miliardi in investimenti pubblicitari. Ma la TV è pronta?
Secondo l’AdEx Benchmark Report 2024 di IAB Europe, il mercato della pubblicità digitale in Europa ha superato per la prima volta i 100 miliardi di euro, con una crescita del +11,1% rispetto all’anno precedente. Una conferma della centralità del digitale nelle strategie di marketing, trainato da video, retail media e formati in-feed.
Ma mentre il digitale galoppa, la TV lineare arranca. E i broadcaster si trovano a camminare su un filo sottile: come integrare le potenzialità del programmatic senza rinunciare al controllo sul contenuto, la user experience e i modelli di ricavo tradizionali?
Un report di Project X Initiative fotografa il dilemma: molti broadcaster sono ancora tecnologicamente impreparati, frenati da infrastrutture obsolete, silos interni e una certa resistenza culturale. Il rischio? Perdere terreno (e budget) proprio mentre gli inserzionisti chiedono automazione, dati e misurabilità.
Serve un cambio di passo. E in fretta. Perché se da una parte l’Europa dimostra di saper investire sul digitale, dall’altra i colossi globali dello streaming non aspettano: sono già lì, pronti a cannibalizzare anche gli ultimi spazi della TV tradizionale.
🔏 Muskology
Elon sotto pressione: prima l’addio (amaro) a Trump, poi il muro europeo contro Grok
La settimana scorsa Elon Musk ha chiuso — in silenzio tutt’altro che trionfale — la sua parentesi da “copresidente” del Department of Government Efficiency (DOGE) voluto da Donald Trump. Dopo appena 130 giorni, promesse di tagli per 2 mila miliardi ridimensionate a 150 e un crescendo di frizioni con Casa Bianca e Congresso, Musk ha preferito sfilarsi prima di diventare a tutti gli effetti un dipendente pubblico, con i relativi obblighi di trasparenza sui conflitti d’interesse.
Il passo indietro a Washington coincide con un’altra tegola sul fronte business. Un report di Netskope afferma che un quarto delle aziende europee ha già bloccato Grok, il suo chatbot “senza filtri” — quasi il triplo dei ban per ChatGPT (9,8 %) e Gemini (9,2 %). Lo rivela l’ultimo.
Perché tanto rigore? Grok ha inanellato gaffe pesanti — dal rilancio della teoria del “white genocide” alle risposte negate sull’Olocausto — alimentando dubbi su bias, affidabilità dei dati e rispetto del GDPR, aggravati dal fatto che il bot è integrato in X, già sotto inchiesta irlandese per l’uso dei dati degli utenti.
Il dato chiave è che le aziende non stanno bocciando l’IA in blocco, ma fanno selezione chirurgica: Stable Diffusion, per esempio, è bloccato dal 41 % delle organizzazioni per questioni di licenze e privacy, mentre altri modelli vengono tollerati o addirittura incoraggiati. In pratica, la luna di miele con la GenAI è nella fase “facciamoci delle domande”: ora contano governance, audit sui bias e chiarezza sui dati di addestramento.
In mezzo a questo doppio scivolone Musk dovrà scegliere: riformare la governance di Grok e di XAI, o accettare di essere escluso sia dalle scrivanie europee sia dai tavoli della politica statunitense.
Come se non ci fosse sufficiente carne al fuoco, il mese scorso, il villaggio texano di Boca Chica è diventato Starbase, città incorporata sotto il controllo di SpaceX. Poco dopo, i residenti hanno ricevuto un avviso: una riorganizzazione urbanistica potrebbe limitare i loro diritti di proprietà.
Nel frattempo, gli investitori guardano con crescente cautela a un impero che, tra Tesla in flessione, NeuraLink alla ricerca di fondi freschi e paura per i sostegni pubblici a StarLink e SpaceX, mostra crepe sempre più visibili.
💊Pillole
Meta ha firmato un accordo ventennale con Constellation Energy per acquistare l'intera produzione dell'impianto nucleare Clinton in Illinois. Obiettivo: sostenere le crescenti esigenze dell’AI e a decarbonizzare le sue operazioni. Una mossa che segue la scia di Microsoft e Google.
La Kuwait Investment Authority aderisce al piano promosso da Blackrock per investire fino a 100 miliardi di dollari in data center per l'intelligenza artificiale.
Startup come Eavor e GA Drilling guidano una nuova ondata geotermica in Europa: energia continua, locale e senza vulcani, per ridurre costi e dipendenze dopo la crisi ucraina.
La Cina lancia la più grande flotta al mondo di camion minerari autonomi: 100 veicoli elettrici senza cabina, gestiti da rete 5G e tecnologia Huawei. Operativi anche a -40°C, migliorano efficienza e sicurezza nelle miniere.
Absolute Zero presenta un LLM auto-didatta: genera esercizi, verifica le soluzioni e si rinforza da solo, superando i modelli tradizionali su HumanEval e GSM-8K.
Google abilita di default le “smart summaries” di Gemini su Gmail mobile negli USA: i thread lunghi vengono ora riassunti automaticamente. Per spegnerli serve un’azione di disattivazione, alimentando perplessità su privacy e consenso.
Deloitte stima che la GenAI nelle imprese italiane sopra 50 M€ possa alzare i margini 5-15% e creare 149-446 mld €; per accelerarla nasce a Milano l’hub Solaria Space con 3 mld $ di investimenti entro il 2030.
Il 60 % degli italiani non versa imposte e un altro 24 % paga solo il minimo, lasciando al 17 % con redditi oltre 35 mila € il peso di finanziare sanità e scuola; con gli interessi sul debito già superiori alla spesa scolastica e una politica che continua a elargire bonus, Alberto Brambilla in un interessante analisi per il Corriere avverte che serve un nuovo patto equo su fisco, pensioni e sanità per evitare il collasso del sistema.
Grammarly ha ottenuto 1 miliardo di dollari da General Catalyst per trasformarsi in una piattaforma AI di produttività.
🎬 Pop
“Hogwarts 2.0”: HBO lancia il trio che sfiderà i film cult
HBO ha finalmente trovato i nuovi maghetti: Dominic McLaughlin, Arabella Stanton e Alastair Stout guideranno la serie Harry Potter dopo una selezione da 30 000 provini, affiancati da veterani come John Lithgow (Silente) e Janet McTeer (McGranitt).
Il progetto debutterà su Max nel 2026 e coprirà i sette libri con una stagione (da sei episodi) ciascuna, puntando a un decennio di storie più fedeli ai romanzi.
Per Warner Bros Discovery è la scommessa-salvagente: mentre altri streamer si contendono franchise milionari, un reboot “seriale” di Hogwarts potrebbe riaccendere abbonamenti e merchandise per un’intera generazione.
Ti piace la newsletter? Condividila con i tuoi contatti.